lunedì 25 maggio 2015

pronto soccorso

Ci ricordiamo che stiamo bene soprattutto quando ci capita di passare per un'ospedale o un pronto soccorso.
A me è successo ieri e le 30 ore che ho trascorso tra reparti ospedalieri 
e pronto soccorso mi hanno aiutato a riflettere.
Ho trascorso tanto tempo seduta su una scomodissima sedia di ferro, rigida e gelida e lì, tenendo tra le mani il fidato ebook ho osservato ciò che mi stava intorno. Alcune cose mi hanno colpito, altre innervosito, altre mi hanno fatto paura, altre ancora tenerezza. La notte è scivolata via nell'attesa e nell'ansia, fuori pioveva e tirava vento, sembrava quasi autunno, restavo seduta stretta nel golfino di cotone che mal si adattava alla temperatura e l'aria condizionata, impossibile da regolare, ha peggiorato la situazione. Ho percorso svariate volte il lungo corridoio, cercando di sgranchire le gambe e snebbiare il cervello. Ho guardato aprirsi e chiudersi silenziosamente la porta automatica degli ambulatori, migliaia di volte sperando che qualcuno desse una risposta alla nostra attesa, o a quella di qualcun altro. Pur cercando di estraniarmi il più possibile, concentrandomi solo sul mio consorte dolorante, non ho potuto fare a meno di partecipare agli sproloqui di quei due fratelli che hanno parlato ad alta voce per un paio d'ore, a causa un'unghia del piede sanguinante volevano farsi fare le analisi più incredibili - tac, risonanze, emocromo ed altro ancora - in un delirio di discorsi sanitari e medici senza capo nè coda per finire poi a decidere di andarsene dopo una semplice medicazione, non senza aver consumato tutto il gel disinfettante del dispenser. 
Nonostante la mia preoccupazione era impossibile non partecipare a quella  della fidanzata di un ciclista che pur avendo già un braccio rotto, era uscito in bici ed era scivolato sull'asfalto bagnato, si era sbridellato non poco, aveva tagli da suturare e qualche altro osso rotto, lei lo abbracciava stretto, gli ripuliva il sangue secco e continuava a parlargli fitto fitto con affettuosa tenerezza.
Nel corso della notte sono arrivate altre persone tra cui un giovane che era inciampato camminando con le mani in tasca e si era quasi frantumato uno zigomo (sembrava molto auto ironico in merito alla sua stupidità);  il genitore di un adolescente che, reduce da una festa un po' troppo alcoolica, era scivolato sbattendo la nuca, lui stava ragionando su quale fosse la punizione più adatta per un comportamento così idiota; un altro giovane era tremante per la febbre altissima e se ne stava solo tutto rannicchiato sulla sua poltroncina, disilluso e dolente. 
Passavano medici, infermieri ed inservienti, silenziosi ed assai sfuggenti anche se sembravano disponibili. 
Quando la luce del giorno ha spento le tenebre la gran voglia di dormire e tornare a casa ha reso l'attesa ancor più pesante e la solidarietà tra pazienti maggiore. Le barelle continuavano a passare, chi veniva ricoverato, chi mandato a casa, ma gli occhi di tutti non nascondevano mai l'angoscia nè la tensione. L'ansia dell' attesa in quel posto grigio, freddo, illuminato dai neon non ha mai trovato pace. Quando finalmente abbiamo avuto la lettera di dimissioni, abbiamo fatto il giro per salutare e fare gli auguri a tutti quelli con cui avevamo condiviso le ultime 12 ore, ore difficili, tristi e dolorose. 
Noi ora siamo a casa, ristorati da una doccia eterna ed un piatto di spaghetti in bianco, ma  sentendo in lontananza un'ambulanza passare mi viene spontaneo domandarmi chi ci sarà là a soffrire? 

6 commenti:

  1. capisco perfettamente quello che hai scritto proprio per averlo già vissuto.
    Ma voi? tutto bene?

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  2. Spero niente di grave...le sale d'aspetto dei pronto soccorsi sono luoghi fuori dal tempo e dalla realtà e mettono brutti pensieri, sempre.
    Tanti auguri...un abbraccio.

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  3. Grazie, le coliche renali non sono proprio un complimento ma passano, per fortuna.

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  4. Se mi dessero la scelta tra partorire e una colica sceglierei partorire... Ho provato entrambi, la colica é tremenda.
    Auguri!

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